Se (anche) l’edilizia crolla le fondamenta traballano

Marco Ferrando
|10 mesi fa
Se (anche) l’edilizia crolla le fondamenta traballano
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La pagella è provvisoria, e quella definitiva che arriverà nelle prossime settimane potrebbe riservare qualche bella sorpresa, grazie a tecnicalità legate al calendario. Ma intanto il responso arrivato dall’Istat in settimana sul Prodotto interno lordo italiano parla di un modesto +0,5% per il 2024, un dato tipico della semistagnazione a cui eravamo abituati prima del crollo legato al Covid cui ha fatto seguito un’accelerazione che tutta l’Europa ci ha invidiato. Il primo problema è che siamo sostanzialmente fermi: nel terzo e quarto trimestre, il Pil è risultato stazionario, facendo così svanire i sogni di un +1% cullati fino all’estate. Come d’abitudine, ci consoliamo con i vicini di casa: Francia e Germania stanno peggio di noi, con un calo rispettivamente pari allo 0,1 e allo 0,2% nel trimestre. Dunque Italia batte (ancora) i suoi concorrenti diretti, per gli amanti degli slogan. Anche se c’è poco da gioire dei
guai delle economie che rappresentano anche i principali compratori delle nostre aziende: se rallentano, rallenteranno gli acquisti di prodotti italiani. E infatti il nostro sistema industriale è dal febbraio 2023 che non vede crescere i propri livelli di produzione. Ma il problema, il secondo, è legato al 2025: gli ultimi due trimestri a crescita zero hanno generato un effetto trascinamento nullo, a differenza dello scorso anno che invece era partito “in spinta”, e dunque con una crescita insita pari a un paio di decimali. Risultato: l’1,2% di crescita che il Governo si è ripromesso per il 2025 paiono già fuori portata a poche settimane dal via, e - se tutto va bene - ci sarà da accontentarsi dello 0,7-0,8%, secondo i calcoli dei principali centri di ricerca economica. C’è un terzo problema, forse quello che qui in ZeroVirgola, ci preoccupa di più. È emerso sempre in settimana, con l’osservatorio dell’Ance, l’associazione dei costruttori edili. Previsioni di categoria che, nel dubbio, preferiscono non eccedere nell’ottimismo e dunque così vanno lette, ma anche al netto di tutto questo il polso del settore è chiaro: il 2024 ha visto ridursi gli investimenti in costruzioni del 5,3%, e nel 2025 è atteso un calo del 7%. Le costruzioni sono soggetti a una volatilità superiore all’industria, ma in questo caso si sconta l’effetto della fine del superbonus, che ha fatto crollare del 5% gli investimenti per le nuove abitazioni e del 22% quelli per la riqualificazione del patrimonio esistente. In compenso, c’è stato l’impatto significativo del Pnrr, che ha fatto balzare del 21% le spese per le opere pubbliche, tuttavia insufficienti a compensare il calo degli interventi sul patrimonio privato. È un’ombra lunga su un futuro già alquanto cupo: le costruzioni non hanno un ruolo determinante in fatto di innovazione, ma per un Paese vecchio e con diversi problemi “strutturali” sul proprio
territorio hanno sempre rappresentato un salvagente importante per l’economia. Il fatto che, in pieno Pnrr, il contributo del settore sia negativo lascia più di un interrogativo sul presente ma soprattutto sul futuro, quando il piano di investimenti straordinari a carico dell’Europa sarà terminato. Che ne sarà della crescita italiana? Archiviato il superbonus, esaurito il Pnrr o al massimo rinegoziato per prolungarne la coda di un paio di anni, l’edilizia è destinata a tornare sui binari consueti e a ridurre il suo effetto traino. Non resterà che sperare in una ripresa dell’industria, anche se con l’aria che tira nel mondo, dove si parla sempre più di dazi e sempre meno di investimenti, meglio non farsi troppe illusioni. © riproduzione riservata

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