Roccella: «Per la Famiglia il governo fa squadra. Ora lavoriamo sull'Isee»

La ministra: «Pronta la proposta di un nuovo indicatore dedicato ai nuclei con figli. Una sorta di Caf per la famiglia con il potenziamento dei Centri. Poche risorse? Una sensazione sbagliata»

Massimo Calvi
|3 mesi fa
IMAGOECONOMICA |
IMAGOECONOMICA |
5 MIN DI LETTURA
«Questo governo ha messo al centro la famiglia come non era mai avvenuto prima. Lo ha fatto con i criteri di indirizzo politico, con importanti investimenti, e con un potente messaggio culturale che ha fatto sì, ad esempio, che oggi tutti parlino di demografia quando fino a poco tempo fa l’argomento era residuale o addirittura tabù. E lo ha fatto con un grande gioco di squadra, perché la famiglia è sì materia del mio ministero, ma è una priorità trasversale all’azione di tutto il governo».
Risponde così, Eugenia Roccella, ministra per la Famiglia, la natalità e le pari opportunità, a quanti sostengono che il governo non stia facendo abbastanza per agevolare le famiglie e le coppie che desiderano figli. E assicura che la famiglia è, e resterà centrale nell’azione di governo.
Domanda: da cosa nascono le critiche?
C’è sempre chi, per polemica politica o ideologica, suggerisce che su un tema quello che si fa è poco, e che bisognerebbe fare “ben altro”. A chi è afflitto da questa sindrome consiglio un rimedio molto efficace: la realtà dei fatti. Poi è ovvio che se non ci fossimo trovati nel pieno di una grave crisi internazionale, e soprattutto se i superbonus edilizi non avessero divorato l’equivalente di dieci manovre finanziarie, gli investimenti avrebbero potuto essere ancora superiori. Ma nelle condizioni date, non capire quello che ho detto denota nel migliore dei casi scarsa consapevolezza.
C’è un tema di comunicazione, o di comprensione, di quanto si sta facendo?
Con il nostro governo la famiglia non è solo destinataria di misure specifiche, ma rappresenta un parametro per le politiche in ogni ambito. Faccio un esempio: se aumentiamo l’Assegno unico e i congedi parentali, rendiamo sostanzialmente gratuite le rette degli asili nido e ne realizziamo di nuovi, rifinanziamo i centri estivi e apriamo le scuole d’estate, aiutiamo le mamme lavoratrici, diamo un contributo per ogni nuovo nato – tutte cose che abbiamo fatto – si tratta di interventi diretti per le famiglie. Se al posto del reddito di cittadinanza introduciamo l’assegno di inclusione tarato fortemente sui figli, se nel fronteggiare il caro bollette potenziamo i sostegni alle famiglie numerose, nel riformare gli incentivi alle imprese inseriamo il welfare per la natalità fra i criteri premiali – tutte cose che abbiamo fatto – significa che il governo considera la composizione del nucleo familiare un elemento centrale anche per politiche che non riguardano in modo diretto la famiglia.
Si può quantificare questo impegno?
L’Ufficio parlamentare di bilancio, che come è noto è un organismo indipendente, ha quantificato in oltre 16 miliardi i benefici diretti e indiretti che nel 2024 sono arrivati alle famiglie. Le famiglie se ne sono accorte, e infatti la maggioranza mantiene tutto il suo consenso. Ma forse è vero, dovremmo raccontarlo di più.
La sensazione però è che le risorse economiche destinate al sostegno della natalità non siano molte…
È una sensazione sbagliata. Solo con le nostre tre leggi di bilancio, sono stati stanziati 4 miliardi, a cui si aggiungono tutti gli altri interventi, dall’assegno di inclusione cumulabile con l’assegno unico alla famiglia, ai fringe benefit aziendali mirati per i lavoratori con figli.
Lo scorso maggio è stato presentato il nuovo Piano Nazionale per la famiglia 2025-2027. Quali sono i punti centrali?
Il Piano segna una svolta rispetto al passato. Alla famiglia non ci si rivolge più segregandone per categorie i componenti e le loro specifiche fragilità: gli anziani, i minori, i lavoratori, i disabili, e via dicendo. Ovviamente ciascuno di questi sottoinsiemi ha esigenze particolari, e ce ne stiamo occupando anche in modo mirato. Ma la nostra visione guarda al nucleo familiare nella sua interezza, nel complesso delle sue relazioni, cercando di dare a quel nucleo gli strumenti per vivere il mondo ed evitare per quanto possibile le disfunzionalità. Alle condizioni di fragilità bisogna dare risposte efficaci in termini di politiche sociali, è evidente. Ma queste non esauriscono gli interventi a sostegno delle famiglie, altrimenti non faremmo altro che continuare a frammentare una società già minata dalla crisi demografica e alimentare le nuove solitudini, grande problema del nostro tempo. L’approccio del Piano, che ruota attorno ai Centri per la Famiglia, è proprio questo.
Qual è la strategia attorno ai Centri per la Famiglia?
I Centri esistono per legge da molti anni, ma privi di funzioni ben definite e quindi molto discontinui come presenza sul territorio e come riconoscibilità. Noi vogliamo potenziare questa rete e rendere i Centri una sorta di “Caf” per le famiglie, a cui rivolgersi sia per avere servizi diretti, sia per orientarsi meglio tra le opportunità e i sostegni che ci sono a disposizione. Come funzioni, si va dal supporto ai genitori nell’alfabetizzazione digitale fino ai servizi di accompagnamento come l’assistente materna, il supporto nei primi mille giorni di vita del bambino, il sostegno informativo per affidi e adozioni e così via. Abbiamo già stanziato 115 milioni: 60 con erogazioni dirette alle regioni, 55 attraverso un bando appena emesso, sempre rivolto alle regioni perché questa rete non deve essere calata dall’alto ma realizzata attraverso i territori, con approccio sussidiario, tenendo conto delle esigenze e delle specificità.
Lei sostiene spesso che all’origine della crisi demografica vi sia una questione culturale. Si deve anche a questo la difficoltà nel presentare misure a favore della famiglia?
Non lo dico io, lo dicono i numeri: dovunque c’è una correlazione diretta tra sviluppo e denatalità. È come se la denatalità fosse la conseguenza negativa dello sviluppo, non solo economico ma anche sociale e tecnologico. Tanto è vero che la crisi demografica colpisce non solo l’Italia ma tutta l’Europa, comprese nazioni come la Francia che hanno una lunga tradizione di politiche nataliste. È un problema che di cui ho discusso in un recente incontro proprio con la ministra francese. La Francia parte da numeri migliori ma adesso cala più velocemente di noi. Significa forse che gli interventi economici sono inutili? Certo che no, tanto è vero che li stiamo mettendo in campo. Significa che bisogna tifare per la decrescita? Ovviamente no. Il grande lavoro da fare, che passa anche attraverso le politiche materiali ma non può limitarsi a queste, è promuovere una visione della genitorialità attrattiva alla luce dei nuovi bisogni e dei nuovi stili di vita. Oggi è come se lo sviluppo, e la cultura marcatamente individualista che spesso lo accompagna, portasse con sé una sazietà di vita, un’idea dell’esistenza come un bene di consumo. Dobbiamo trasformare questa sazietà in una sovrabbondanza, che faccia percepire che dare la vita ad altri è qualcosa che aggiunge e non sottrae.
Converrà che in Italia il problema della denatalità sia un po’ più grave rispetto ad altri Paesi…
Quello che in numeri assoluti penalizza l’Italia è che la disattenzione nei confronti della famiglia ha portato i tassi demografici a calare già decenni fa, anche sulla scia di ideologie anti-nataliste all’epoca molto in voga. Basta ricordare quando si parlava di “sovrappopolazione” e in molti paesi, come in Cina, si puntava sui piani di controllo delle nascite. La diminuzione delle donne in età fertile significa che nel 1995, quando il tasso di fecondità in Italia era molto simile a quello attuale, 1,19 figli per donna corrispondeva a circa 500mila bambini l’anno. Oggi a poco più di 300mila. Il confronto con gli altri Paesi è importante, e ricordo che il nostro governo ha organizzato a Roma una conferenza europea sulla demografia. L’Europa dovrebbe avere a cuore la natalità almeno quanto l’ambiente e il digitale. Anche perché, senza nuovi giovani, l’ambiente si spopola e si deteriora, e lo sviluppo tecnologico si ferma.
L’estate è la stagione delle promesse. C’è una novità in arrivo? Cosa possono aspettarsi le famiglie?
La commissione sulla riforma dell’Isee, che presiedo, sta terminando il suo lavoro dopo aver individuato alcune soluzioni di favore rivolte proprio alle famiglie con figli, ora dobbiamo confidare nel cammino della legge di Bilancio. Le risposte alle attese delle famiglie possono giungere dalle politiche, ma anche attraverso il coinvolgimento del mondo del lavoro e dell’impresa, dei territori, dell’associazionismo, dobbiamo costruire sempre di più una società che accolga genitori e figli e li consideri un patrimonio di tutti, per sconfiggere la solitudine del presente e costruire il futuro.