«Medici e ostetriche nei villaggi: così cambiamo l'Africa»

Dal direttore del Cuamm la testimonianza di una via efficace sperimentata sul campo: condividere la speranza di vita del continente. I giovani vogliono “crescere il futuro” restando nella loro ter

Dante Carraro*
|4 mesi fa
Don Dante Carraro con uno dei diplomati alla scuola del Cuamm
Don Dante Carraro con uno dei diplomati alla scuola del Cuamm
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Nelle domeniche dell’Anno Santo “Avvenire” ospita voci credenti e laiche per offrire riflessioni a partire da domande ispirate dal Giubileo: qual è, oggi, la speranza che “non delude”? Quali speranze nutrono il nostro sguardo sul futuro? Su quali fondamenta edifichiamo i progetti della vita, le attese, i sogni? E la società, a che speranza collettiva attinge? Le puntate precedenti su Avvenire.it/Opinioni, "In cosa speriamo".
Gordon, Amina, Sorry. Quando penso alla parola “speranza”, mi vengono in mente i loro occhi, i volti, le loro storie che parlano di una grande speranza, quella di giovani pieni di vita, che hanno superato mille fatiche e ostacoli per realizzare un sogno: studiare, diventare infermieri oppure ostetriche, in Africa. In Paesi poverissimi, come il Sud Sudan, per esempio, che ha 12 milioni di abitanti, dei quali 7,7 hanno difficoltà a reperire cibo e oltre 2 milioni sono sfollati interni. Eppure la speranza degli occhi di questi giovani, nel giorno in cui si sono laureati a Rumbek, dove come Cuamm siamo presenti e contribuiamo alla loro formazione come professionisti sanitari, è una luce che porterò sempre nel cuore. Nel pensare al Giubileo della speranza è questa la prima immagine che mi viene in mente.
Don Dante Carraro
Don Dante Carraro
Sono appena tornato dalla Repubblica Centrafricana, Paese fragilissimo e dalle tante contraddizioni. Qui la speranza si traduce in azione concreta nella costruzione di una Scuola per ostetriche e infermieri a Bossangoa. A 150 chilometri dalla capitale Bangui, una di quelle periferie del mondo che pochi conoscono, ci stiamo impegnando, insieme al Governo locale, per costruire una scuola che dia una prospettiva di futuro alle giovani e ai giovani centrafricani, che dia una speranza di assistenza anche ai malati del vicino ospedale. L’Africa non chiede la carità ma opportunità di crescita. Sono tanti i giovani e le giovani che incontriamo nel nostro impegno in 9 Paesi nell’Africa a sud del Sahara, che hanno voglia di studiare e non ne hanno l’opportunità. Come Cuamm siamo presenti in 4 scuole di formazione per infermieri e ostetriche e in una Facoltà di Medicina: ed è proprio questa la speranza più grande che ho per l’Africa: dare opportunità ai suoi giovani, che hanno voglia di futuro, di indipendenza, di vita dignitosa, lì dove sono nati e vorrebbero vivere.
Nella bolla di indizione del Giubileo papa Francesco scriveva: «Il primo segno di speranza si traduca in pace per il mondo, che ancora una volta si trova immerso nella tragedia della guerra. Immemore dei drammi del passato, l’umanità è sottoposta a una nuova e difficile prova che vede tante popolazioni oppresse dalla brutalità della violenza. È troppo sognare che le armi tacciano e smettano di portare distruzione e morte?». È una ferita lacerante vedere quanto siano sempre i più poveri a pagare duramente gli effetti delle guerre che stanno martoriando alcune aree del nostro pianeta. Penso al dramma dimenticato del Sudan con 4,3 milioni di sfollati e almeno 300mila morti e alle migliaia di profughi che si spostano nei Paesi limitrofi, rendendoli ancora più fragili e poveri. Penso all’Etiopia dove si stanno contando i danni di una guerra fratricida durata oltre due anni tra il Tigrai e il Governo centrale. Non dimentico il Congo, la Somalia, il Centrafrica, la Nigeria. Siamo tutti annientati dalla tragedia della guerra a Gaza e ancor prima da quella in Ucraina, a loro volta rapidamente scalzate, nella scala dell’attenzione mediatica, dal conflitto tra Israele, Iran e Usa.
Ma quello di cui non si parla mai e che resta completamente fuori dal radar sono gli effetti indiretti di queste crisi sull’Africa, che si traducono, per esempio, nell’aumento del costo della benzina per le ambulanze o dei costi di tutti i beni di prima necessità e dei materiali sanitari. Di fronte all’irreversibilità degli scenari mondiali ci sentiamo impotenti. Non possiamo certo cambiare, noi così piccoli, le sorti di questi Paesi. Ma quello che possiamo e dobbiamo fare è continuare a fare la nostra parte. Come Cuamm la facciamo ogni giorno, con tenacia e “ostinazione”, per il bene dei più poveri. Per prenderci cura dei ma-lati, nei villaggi, nei centri di salute, negli ospedali. Per assistere le donne e i bambini nel momento del parto, perché una nuova vita possa nascere in sicurezza. Per curare i più piccoli colpiti da malnutrizione, o i malati di tubercolosi, malaria Hiv/Aids, senza dimenticare le malattie croniche che si stanno diffondendo sempre di più in Africa.
Don Dante in una nursery in Africa
Don Dante in una nursery in Africa
Sono 280mila ogni anno, nel mondo, le mamme che muoiono a causa del parto. La maggioranza vive in Africa sub-Sahariana. Il parto non è una malattia, è dare la vita, è il diritto di mettere alla luce un bambino in sicurezza. Allora il nostro impegno vicino alle mamme e ai neonati è il segno più concreto di quella speranza che diventa vita, concretezza, vicinanza nel momento più prezioso per una famiglia. Perdere una mamma di malattia è duro, ma succede; perdere una mamma di parto è un dolore inaccettabile. Sono loro i più fragili, i “carcerati” che incontriamo noi medici del Cuamm, e a cui cerchiamo di portare un po’ di speranza. Ma la speranza non può essere separata dalla giustizia. Ecco allora che il Giubileo ci aiuta a riflettere anche sul grande tema della remissione del debito. Del debito in denaro che i Paesi più poveri non riescono a pagare. E insieme anche del debito ecologico, verso questo nostro pianeta che stiamo consumando e distruggendo.
I dati e la realtà che tocchiamo con mano parlano chiaro: è di oltre 1.000 miliardi di dollari il debito dei Paesi africani, una cifra raddoppiata negli ultimi dieci anni, 163 miliardi l’anno di soli interessi che gravano su una popolazione giovane – un quarto degli africani nel 2050 avrà meno di 25 anni – e che nel 2100 sarà oltre il 40% della popolazione mondiale. E il debito africano, più basso di quello italiano o della media europea, purtroppo non è sostenibile. Ci sono, infatti, Paesi che crescono al ritmo del 7-8% l’anno, ma pagano interessi del 12-13%, per cui un tasso di crescita importante non è sufficiente nemmeno a coprire gli interessi. La conseguenza è che in un Paese come il Mozambico, per esempio, ogni anno migliaia di medici e operatori sanitari formati non vengono assunti, nonostante le necessità della popolazione, perché gli Stati non hanno la possibilità di pagarli. I tagli a Usaid voluti dall’amministrazione Trump, rendono ancora più drammatica la situazione, spingendo milioni di persone all’impoverimento.
A questo quadro si aggiunge il grande fronte del debito ecologico e dei cambiamenti climatici. Tutti sappiamo che una persona che vive nell’Africa sub-sahariana produce in media 0,8 tonnellate di Co2, mentre chi vive in Europa ne produce 6,4 e un cittadino degli Stati Uniti 16,5. Eppure gli effetti negativi più gravi dei cambiamenti climatici si fanno sentire soprattutto nel continente africano. Una maggior quantità di Co2 nell’aria surriscalda l’atmosfera favorendo l’aumento di disastri ambientali, come le alluvioni, i cicloni, la siccità e, di conseguenza, le carestie. In Africa, dal 2000 al 2019, i cataclismi climatici sono stati legati per il 65% alle alluvioni, per il 15% ai cicloni e per l’11% alla siccità, quest’ultima con effetti veramente drammatici in termini di mortalità. Siccità vuol dire penuria d’acqua, che si traduce in riduzione della produzione di cibo e conseguente aggravamento della malnutrizione cronica e acuta. Sono soprattutto i bambini a portare il peso maggiore in termini di impatto sulla salute. Una situazione fra tutte che porto nel cuore è la gravissima siccità che ha colpito qualche tempo fa la regione del Cunene, in Angola, e l’ospedale di Chiulo, con conseguenze gravissime sulla mortalità dei bambini.
Tra le lezioni che abbiamo imparato dal Covid-19 c’è soprattutto quella che il concetto di “salute globale” non è qualcosa di teorico e astratto ma una realtà che tocca tutti. La salute o è globale o non è. Abbiamo imparato che «nessuno si salva da solo», come diceva papa Francesco. Ecco allora che quello che possiamo fare è continuare a coltivare una speranza che si vesta di impegno. Ogni giorno, con onestà e rettitudine, che sia in Italia o in Africa, pensando non solo al nostro bene ma al bene comune, per costruire un futuro più giusto per tutti. Un impegno che quest’anno assume un significato speciale proprio in occasione del 75esimo anniversario di vita e attività del Cuamm, che celebreremo il prossimo 22 novembre a Padova. Una grande festa di compleanno a cui siete tutti invitati e che ha come messaggio-guida proprio “Crescere il futuro”: un altro modo di parlare di speranza.
*Sacerdote Direttore di Medici con l’Africa Cuamm
«Salviamo una mamma alla volta»: il nuovo sogno si chiama Bossangoa
Il Cuamm (Collegio universitario aspiranti medici missionari) nasce a Padova nel 1950, e da allora il suo impegno e la sua creatività per far sviluppare la sanità nei Paesi più poveri e in particolare nell’Africa sub-sahariana non sono mai venuti meno. Anzi. Il prossimo obiettivo è costruire e mettere in funzione già entro il 2025 la prima e unica scuola per ostetriche in una zona rurale della Repubblica Centrafricana, a Bossangoa, nel nord del Paese. «A un chilometro dall’ospedale, riferimento per 260mila persone, abbiamo iniziato la costruzione del muro di cinta, indispensabile per proteggere la scuola – scrive in una lettera agli amici del Cuamm don Dante Carraro –. Subito dopo è in programma il pozzo per la raccolta e la distribuzione dell’acqua, e via via si costruirà tutto il resto. La sfida è davvero impegnativa, ma desideriamo costruire il nostro “pezzettino” di futuro, un mattone alla volta, un libro alla volta, un diploma di ostetrica alla volta, una mamma salvata alla volta». Il progetto comprende una scuola con 4 aule per le lezioni e altre 4 per i laboratori didattici, gli uffici, la biblioteca, due dormitori e un refettorio. L’alimentazione sarà garantita da un impianto fotovoltaico. Chi vuole contribuire può informarsi su www.mediciconlafrica.org.
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