“Adolescence”: la serie televisiva brutale sulla difficoltà di essere teenager (e genitori)
Fabrizia Malgieri
|8 mesi fa

LA NUOVA FICTION BRITANNICA IN QUATTRO PUNTATE DI NETFLIX SI INTERROGA SUL DIFFICILE MONDO DEI GIOVANI DI OGGI
Quanto può essere disturbante l’adolescenza? È su questo tema, complesso e spinoso, che si sviluppa “Adolescence”, la nuova miniserie televisiva targata Netflix che sta spopolando tra gli appassionati dei crime psicologici. Creata da Philip Barantini e diretta da Stephen Graham e Jack Thorne (quest’ultimo, anche tra i protagonisti della serie), “Adolescence” è una messa in forma, cruda e spietata, in appena quattro episodi su quella che è una delle età più difficili dell’esistenza umana, provando a partire da un disagio (sempre più reale e diffuso) che interessa i giovanissimi di oggi: fragili, dipendenti dai social e dalle vite simulate che interpretano al loro interno, semplicemente spezzati.
Qual è la storia di “Adolescence”? Siamo in una piccola cittadina britannica senza nome – questo perché contestualizzare e dare una connotazione geografica precisa non è rilevante – che viene sconvolta quando viene ritrovato il cadavere di una quattordicenne, Katie Leonard, all’interno di un parcheggio. Del tragico omicidio viene accusato un coetaneo e compagno di scuola, Jamie Miller, che viene trascinato di peso dal suo letto all’alba dalla polizia, lasciando sotto shock tutta la sua famiglia e l’intero vicinato. I quattro episodi in cui si dipana questa miniserie si concentrano non solo sull’excursus investigativo in sé, attraverso cui forze dell’ordine e psicologi provano a ricostruire cosa sia accaduto e in quale contesto sia mutuato il delitto, ma soprattutto sulle conseguenze che l’arresto di Jamie ha sul suo nucleo familiare, distrutta dalla notizia e costretta ad affrontare un clima sempre più ostile che prolifera nella comunità di quartiere, sui media e sui social. Perché è questo su cui si interroga, in primo luogo, “Adolescence”: in che contesto nasce e cresce un presunto mostro? Com’è possibile che un ragazzino di appena tredici anni, agli albori della sua esperienza con la vita, possa maturare sentimenti e azioni così negativi? La serie ideata da Barantini, in realtà, non cerca colpevoli, ma prova a indagare quali siano le condizioni in cui i ragazzi di oggi sono costretti a vivere e con quali temi sono costretti a confrontarsi sin da piccoli. Bullismo, cyberbullismo, manosphere, incel culture: “Adolescence” analizza e scruta fenomeni che sempre più frequentemente toccano da vicino i più giovani, e di cui i genitori, nella maggior parte dei casi, non sono in alcun modo al corrente – e questo principalmente perché scarsamente informati.

Se è vero che termini come “bullismo” e “cyberbullismo” sono diventati sempre più frequenti nella nostra dieta mediale, è più difficile sentir parlare, quanto meno in questo lato del mondo, di fenomeni come la “cultura incel” e la manosfera: per quest’ultima, ad esempio, si intende tutto quel mondo – dai forum di discussione ai siti, passando per associazioni e movimenti veri e propri – che condividono un’idea di mascolinità predominante, che intende combattere il femminismo e, più in generale, determinate frange progressiste di cui non comprendono i valori. All’interno della manosfera, si colloca il fenomeno della “cultura incel”, dove la parola “incel” sta per “involuntary celibacy” (letteralmente “celibato involontario”), per cui si intendono tutti quei gruppi di uomini convinti che la loro esclusione da eventuali rapporti di coppia o relazioni di tipo sessuale dipenda esclusivamente per colpa delle donne, e non per loro eventuali negligenze. In questo contesto, “Adolescence” prova a fare luce su un mondo nascosto e cupo che oggi è già in grado di attecchire sui giovanissimi, utilizzando una tecnica cinematografica molto precisa ed efficace, come quella del piano-sequenza, che porta gli spettatori a confrontarsi da vicino con questi temi in modo inevitabile. La macchina da presa segue (o meglio, insegue) la vita dei vari personaggi coinvolti e sconvolti da questa enorme tragedia dal sapore antico, da cui nessuno ne esce pienamente pulito.
“Adolescence” non punta il dito contro nessuno, va detto, ma prova a mettere in fila – costringendo lo spettatore a guardare e a non distogliere mai lo sguardo una condizione umana a cui, oramai, è impossibile restare indifferente. “Adolescence” non prende spunto da una storia vera nello specifico, ma riflette una condizione che è sempre più ricorrente nel Regno Unito – è questo ciò che ha spinto i suoi creatori a lavorare su un prodotto televisivo così duro da digerire – e che, lo vogliamo o no, ha da tempo “infettato” le giovani generazioni di tutto il mondo. E non solo quelle di oggi, ma parla di una pratica – come quella di una certa mascolinità tossica, dura a morire – che si limita semplicemente a cambiare forma, ma che in concreto è fortemente radicata nella nostra società che sempre più fatica a eliminarla del tutto.
“Adolescence” non punta il dito contro nessuno, va detto, ma prova a mettere in fila – costringendo lo spettatore a guardare e a non distogliere mai lo sguardo una condizione umana a cui, oramai, è impossibile restare indifferente. “Adolescence” non prende spunto da una storia vera nello specifico, ma riflette una condizione che è sempre più ricorrente nel Regno Unito – è questo ciò che ha spinto i suoi creatori a lavorare su un prodotto televisivo così duro da digerire – e che, lo vogliamo o no, ha da tempo “infettato” le giovani generazioni di tutto il mondo. E non solo quelle di oggi, ma parla di una pratica – come quella di una certa mascolinità tossica, dura a morire – che si limita semplicemente a cambiare forma, ma che in concreto è fortemente radicata nella nostra società che sempre più fatica a eliminarla del tutto.

Lo stesso Graham, parlando dei retroscena che hanno mosso gli intenti di questo serial in un’intervista con la rivista di Netflix “Tudum”, ha dichiarato: «C’è stato un incidente in cui un ragazzo ha pugnalato una ragazza. Mi ha scioccato. Stavo pensando, “Cosa sta succedendo? Che cosa sta accadendo in una società in cui un ragazzo pugnala a morte una ragazza? Qual è il fattore di istigazione in questo caso?” E poi è successo ancora, e poi di nuovo ancora. Volevo davvero solo fare luce su questo argomento e porre la questione “Perché sta accadendo? Cosa succede? Come siamo arrivati a questo?”». Lo stesso Graham che, con la stessa durezza e violenza, già aveva fatto luce sulle complessità adolescenziali in tempi non sospetti con “ This is England” (2006), quando i social non erano ancora parte della nostra vita e non potevano essere il facile bersaglio per assolvere i nostri peccati, di adulti e genitori. E che ruolo hanno gli adulti in tutto questo, in questo “Adolescence”? Sono rassegnati, sono inermi di fronte a questa ondata di negatività in cui sono immersi i giovani – il secondo episodio di “Adolescence”, quello ambientato nella scuola, è una lucida quanto amara visione della nostra incapacità a contenere queste creature a noi sempre più sconosciute e lontane – sono “spaventati” dai loro stessi figli. Difficile da digerire e duro da guardare, “Adolescence” scoperchia con violenza un vaso di Pandora che per troppo tempo abbiamo voluto tenere nascosto, fingendo di non prestare attenzione a quanto sta accadendo attorno a noi. Con una scrittura potente – che ci porta indietro con la memoria alla prima straordinaria stagione di “ True Detective” di Cary Fukunaga – e un uso studiato e straordinario della sua regia, l’opera di Stephen Graham e Jack Thorne arriva come un pugno allo stomaco da cui è impossibile uscirne indifferenti. E di cui, si spera, si parlerà per lungo tempo per riflettere su un problema che non può più passare sotto silenzio.
di Fabrizia Malgieri
16:48|December 4, 2025
rg br fgn ng
00:00|March 21, 2025
L’ultimo restyling, con l’abbellimento di archi, fontana e minareto, ha reso l’ex capannone di Strada Caorsana un luogo di culto anche dal punto di vista estetico. Ma nella sostanza, la moschea di Piacenza si consolida come punto di riferimento per la comunità islamica (e non solo) anche attraverso le tradizioni.
Come quella dell’Iftar (la rottura del digiuno), un rito che ieri sera, venerdì 21 marzo, come avviene da qualche anno a questa parte, ha visto la partecipazione di illustri rappresentanti della comunità piacentina, tra politici, rappresentanti delle forze dell’ordine e del mondo associazionistico.
dialogo intereligioso
Ma anche religioso, se pensiamo che il garante della moschea Yassine Baradai ha cenato allo stesso tavolo del vescovo Adriano Cevolotto. Entrambi uniti nella consapevolezza che il dialogo interreligioso sia ancor più fondamentale in un momento storico come il nostro, segnato sia dalla guerra in Ucraina che dal riacutizzarsi del conflitto in Medio Oriente.
“garantire la dimensione umana”
“E’ importante raccogliersi oggi per ricordare le vittime – ha detto Baradai – ricordando che la moschea è un punto di riferimento non solo per il mondo arabo ma anche per gli italiani musulmani che possono trovare qui tutti gli strumenti per vivere appieno la loro dimensione di fede”, mentre il vescovo Cevolotto si è concentrato sulla ripresa dei bombardamenti nella striscia di Gaza: “Non possiamo più permetterci di confondere l’antisemitismo con la critica a posizioni politiche che non possono più essere giustificate, senza con ciò togliere le responsabilità di Hamas. Ma c’è una misura umana che deve essere garantita, altrimenti si oltrepassa quel limite che divide la ragione dal torto”.









