Perché l'obiezione di coscienza dà fastidio?
La legge siciliana che esclude i medici obiettori dai concorsi per i posti in ospedale, ora impugnata dal Governo, indica che è a rischio un diritto fondamentale. Ma è un presidio di libertà
Marina Casini
|3 mesi fa

Foto Elnur Amikishiyev |
È di questi giorni la notizia che il Governo ha, giustamente, impugnato la legge della Regione Sicilia che violando alcune disposizioni costituzionali ha deliberato l’obbligo per gli ospedali pubblici di assumere soltanto medici e personale sanitario non obiettore di coscienza. Purtroppo, non è la prima volta che vengono prese iniziative del genere.
La notizia dell’impugnativa non può dunque che rallegrare e speriamo in un chiaro e determinato annullamento della legge regionale siciliana. A parte il profilo della violazione di competenza, non può essere ignorato il fatto che la stessa legge 194 prevede il diritto di sollevare obiezione di coscienza e che in generale il diritto alla “libertà di coscienza” è riconosciuto esplicitamente a livello internazionale nelle principali carte sui diritti dell’uomo e implicitamente nella nostra Costituzione, come affermato sia dalla dottrina che dalla stessa giurisprudenza costituzionale.

Per rendersene conto, basta considerare la Dichiarazione universale dei Diritti dell’Uomo (art. 18), il Patto Internazionale sui diritti civili e politici (art. 18), la Convenzione sui diritti del fanciullo (art.14), la Convenzione americana sui diritti umani (art. 12), la Convenzione europea sui diritti dell’uomo e le libertà fondamentali (art. 9), la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (art. 10); la Carta africana dei diritti dell’uomo e dei popoli (art. 8). Con specifico riferimento alla bioetica va ricordata la Risoluzione del Consiglio d’Europa del 7 ottobre 2010 riguardante il diritto all’obiezione di coscienza, che condanna ogni forma di discriminazione nei confronti degli obiettori. Per quanto riguarda la nostra Carta costituzionale, è un dato acquisito che la libertà di coscienza è implicitamente contemplata nell’art. 2 (diritti inviolabili dell’uomo), negli articoli che disciplinano e tutelano la libertà e l’uguaglianza in materia di religione (artt. 3, 7, 8, 19, e 20) e nell’art. 21 che tutela la libertà di manifestazione del pensiero.
È questo l’orientamento fatto proprio dalla dottrina, tanto che è stato scritto che dell’obiezione di coscienza nella Carta costituzionale «manca solo il nome, non l’ammissione e la tutela». Seppur importante, non è però sufficiente la sola dimensione soggettiva dell’obiezione (rispetto delle opinioni), ma è necessaria anche una dimensione oggettiva. A questo riguardo il Comitato nazionale per la Bioetica (Cnb) nel parere “Obiezione di coscienza e Bioetica” (12 luglio 2012) mette in evidenza che il rispetto dovuto alla sensibilità morale del singolo è in rapporto a valori oggettivamente importanti per la società: è in gioco anche la «salvaguardia di una tensione verso i valori fondamentali». E quale valore – anche socialmente parlando – è più fondamentale della vita umana?
Eppure, quando a tema è l’aborto, ecco che questo diritto viene aspramente combattuto, paradossalmente proprio dalla cultura “progressista” che fa dell’autodeterminazione la sua bandiera e che ha sostenuto e ottenuto l’obiezione di coscienza al servizio militare quando era obbligatorio addirittura in base alla Costituzione.
L’avversione all’obiezione di coscienza all’aborto risale al tempo in cui fu approvata la legge 194, come risulta già dagli atti del I convegno nazionale sul tema promosso dal Movimento per la Vita, “Obiezione di coscienza sanitaria: un dovere verso l’uomo”, svoltosi a Torino il 26 e il 27 novembre 1983. Più volte il Movimento per la Vita è intervenuto con scritti e interventi giudiziari in difesa degli obiettori.
Occorre capire le ragioni vere di questo attacco, perché quelle che si dicono sono inconsistenti, come è dimostrato in alcune relazioni al Parlamento sulla attuazione della legge 194. Non è vero, infatti, che in Italia vi sono gravi difficoltà per eseguire gli aborti; non è vero che i medici non obiettori sono costretti a un lavoro stressante anche oltre l’orario di lavoro. La vera ragione degli assalti contro l’obiezione di coscienza è che il medico che rifiuta di essere coinvolto nella Ivg ricorda che vi è di mezzo la vita di un essere umano a pieno titolo. Ed è proprio questo che la “congiura contro la vita” vuole duramente censurare.
Una chiara spia di questa “censura” si trova in una sentenza della Cassazione del 2013, che riguarda proprio un caso di obiezione di coscienza all’aborto: «Il diritto di aborto – si legge – è stato riconosciuto come ricompreso nella sfera di autodeterminazione della donna». Questo è il punto. Bisogna stabilire se il valore primario coinvolto nell’aborto è l’autodeterminazione della donna o se, invece, è il valore della vita umana. Posta così l’alternativa, non dovrebbero esistere dubbi sul primato della vita umana. Purtroppo si è verificata una progressiva deriva sia nel campo del diritto sia in quello della sensibilità popolare.
Tuttavia, anche un tale (preteso) “diritto” non comporterebbe un atteggiamento di mortificazione dell’obiezione di coscienza se, contemporaneamente, l’aborto venisse riconosciuto per ciò che realmente è: la morte cagionata di un essere umano prima della nascita. La negazione esplicita o implicita, ma anche la semplice dimenticanza, che coloro che viaggiano verso la nascita sono individui viventi appartenenti alla nostra comune specie umana – e cioè esseri umani a pieno titolo, titolari del diritto alla vita, che devono dunque essere trattati come persone – porta alla conseguenza che il “diritto” della donna deve essere garantito dallo Stato nel massimo grado, anche se questo comporta la coazione della coscienza del medico obiettore, ridotta a una mera opinione individuale da tollerare con fastidio.
Invece l’obiezione del medico e dell’operatore sanitario è un autorevole testimonianza a favore della vita umana. La loro obiezione non è uno sciocco scrupolo religioso ma il faro che mantiene nella coscienza sociale la consapevolezza del valore in gioco, perché ciascun essere umano concepito è “uno di noi”.
Alla radice del misconoscimento o della restrizione del diritto di sollevare obiezione di coscienza all’aborto si trova, dunque, la negazione del figlio in quanto essere umano, in quanto valore decisivo per misurare la dignità umana e quindi la realizzazione dei collegati valori di libertà, uguaglianza, solidarietà, pace. Sì, pace. Benedetto XVI, infatti, nel messaggio per la Giornata mondiale della pace del 2013, disse che «è anche un’importante cooperazione alla pace che gli ordinamenti giuridici e l’amministrazione della giustizia riconoscano il diritto all’uso del principio dell’obiezione di coscienza nei confronti di leggi e misure governative che attentano contro la dignità umana, come l’aborto e l’eutanasia».
Alla radice del misconoscimento o della restrizione del diritto di sollevare obiezione di coscienza all’aborto si trova, dunque, la negazione del figlio in quanto essere umano, in quanto valore decisivo per misurare la dignità umana e quindi la realizzazione dei collegati valori di libertà, uguaglianza, solidarietà, pace. Sì, pace. Benedetto XVI, infatti, nel messaggio per la Giornata mondiale della pace del 2013, disse che «è anche un’importante cooperazione alla pace che gli ordinamenti giuridici e l’amministrazione della giustizia riconoscano il diritto all’uso del principio dell’obiezione di coscienza nei confronti di leggi e misure governative che attentano contro la dignità umana, come l’aborto e l’eutanasia».
Se oggi, purtroppo, sembra impossibile cambiare la legge 194 in senso favorevole al diritto di nascere, tuttavia è irrinunciabile la indicazione del concepito come un essere umano a pieno titolo. In questa direzione l’obiezione di coscienza all’aborto è una luce che non deve essere spenta.
* Presidente del Movimento per la Vita italiano
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