Recensione Film - Once Upon a Time... in Hollywood

Marco Olivetti
|6 mesi fa
Recensione Film - Once Upon a Time... in Hollywood
Il Tarantino più teoricamente Tarantino di sempre ma anche il più debole, involuto, freddo. Una myse en abyme mai così abissale ma anche, per la prima volta, cerebrale, distaccata. Priva di tangibile vitalità. Per molti aspetti, triste, in tutte le possibile declinazioni dell’aggettivo. C’era una volta a… Hollywood sembra il magniloquente, e a tratti grandioso, testamento di un grande regista stanco, che fa il punto, si ricapitola e forse capitola. Tarantino torna su tutti i luoghi del suo Cinema, in maniera quasi scientifica, meticolosa, esplicitando tutto, anche quello che è sempre stato chiaro ma sottinteso. Primo fra tutti, il fatto che i suoi film parlino, fondamentalmente, di Cinema. Siano nient’altro che Cinema. Tarantino ha sempre pensato Cinema e parlato Cinema. Qualunque cosa abbia raccontato, in passato, che fosse un colpo finito male o una vendetta, ne è sempre risultato il racconto (cinematografico) di un racconto, in cui il secondo grado, il Cinema, era ovunque, non solo nei rimandi e nelle citazioni esplicite, comunque coestensive al film (di fatto, il cinema di Tarantino sembra sempre citare, anche quando non lo fa, fino al punto di diventare una continua metacitazione di se stesso).
Dal punto di vista dell’esplicitazione, della tematizzazione del Cinema, il nono film di QT ha però due precedenti (consecutivi): Death Proof e Inglorious Basterds. Il primo è un apparente divertissement che, invece, riflette molto seriamente sul suo Autore. Il protagonista, Stuntman Mike, è una doppia controfigura: lo è il personaggio interpretato da Kurt Russell che però, a sua volta, rappresenta il cinema che Tarantino sta omaggiando, il B-Movie analogico di una volta, in cui servivano – appunto - le controfigure, gli stuntmen. In un certo senso, Mike è Tarantino ed è con Mike che, pur essendo una carogna, siamo portati quasi obtorto collo a simpatizzare. Il film è altrimenti privo di altri credibili poli identificativi. E quando Mike viene ucciso dalle ragazze, in quel modo così anti-epico, crudelmente “leggero”, rimaniamo spiazzati, amareggiati. È un film che mette a disagio, per certi versi mortifero, con Tarantino che riflette criticamente su se stesso, che si mette a nudo rasentando quasi un indiretto suicidio artistico uccidendo, nel finale, il cinema che ama. Col senno di poi, Death Proof è il primo prodromo di C’era una volta a… Hollywood.

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